Recensione di “Spalle al mondo” su RAPMANIACZ.COM del 2011

By Pablo Spero

Diciamo, in prima battuta, che Pablo Spero e Terzo Socio mettono assieme, con questo “Spalle al mondo”, un album di buon livello. In una scena dove sembra imperare sempre di più un tipo di Hip-Hop che, forse, Hip-Hop non è più, corrotto da derive di suono poppeggiante e da una scrittura sempre più tesa all’effetto immediato e non alla profondità, stilistica e tematica, il disco in questione conferma la presenza, costante e cocciuta, di una realtà nella quale esistono ancora certi tipi di rapper che vogliono fare un certo tipo di musica e un certo tipo di scrittura. Rapper che sanno prendere le proprie esperienze e usarle per costruire una strofa che funzioni, sopra un campione tagliato e ricucito assieme a un loop di batteria, senza dimenticarsi di sostenere il tutto con una scrittura dignitosa. Il punto più alto toccato dal disco è proprio quello in cui la struttura si fa sentire maggiormente: “It’s my vocabulary”, un glossario di termini legati all’Hip-Hop che, per una volta, riesce ad esprimere amore per la cultura in maniera simpatica e non retorica. Tutto il disco si mantiene, in ogni caso, su uno standard buono di varietà tematica: l’importanza dell’individualità prende piede con la titletrack, fino a “Tutti matti”, vero e proprio inno alla rivendicazione della propria personalità contro il conformismo del mondo; non mancano i pezzi da battaglia, come l’agguerrita “Mi rimbalzi”, né la presenza di un’attitudine un poco più easy, rappresentata dalla leggera e scanzonata “La ballata dei rischi”, dove Pablo caccia una strofa davvero magistrale. La monotonia, rischio sempre in agguato quando si parla di Rap, specie se un po’ troppo integralista, è dunque scongiurata dalla presenza di un ventaglio di tematiche abbastanza ampio. Oltre alle tracce già citate, troviamo due pezzi esplicitamente dedicati all’amore, “Da quando” e “Cose che”, in cui le collaborazioni si accaparrano due giudizi diametralmente opposti: Dydo – forse uno dei rapper più sopravvalutati della scena – continua a mettere in fila le solite barre del suo Rap tragicamente elementare, mentre Jack The Smoker, sebbene lo si ritrovi in una veste insolita rispetto alla sua abituale attitudine, resta sempre un gran maestro di tecnica (per dirne una: solo lui fa rimare Costa Rica con caro vita). Altri passaggi degni di nota sono “Dovrei”, apprezzabile tentativo di autoanalisi lirica, “Acqua e olio”, sospeso a metà tra uno storytelling ed una raccolta di riflessioni, e “Storie da palazzina”, ben costruito ritratto di una realtà di quartiere. Le doti narrative sembrano essere solide: “Erano fratelli” è ottima, infatti, sotto questo punto di vista, ma pecca sull’eccessivo buonismo. Proprio qui sta un difetto del duo, forse l’unico, e forse quello per cui questo disco merita un plauso e un apprezzamento ma non smuove un granché a livello emotivo: la chiusura di certi versi, per quanto ricerchi la frase ad effetto, risulta spesso banale e già sentita. La superficialità, non certo negli intenti o nel tema, quanto nel modo di sviluppare quel tema (con versi poco originali e l’assenza totale di ricerca retorica e metaforica), è evidente nella già citata “Erano fratelli”, così come in “Questo è il nostro mondo”, dove l’ecologismo e la morale sanno davvero di artificiale (<<se non ci fermeremo in un baleno/porteremo il pianeta allo stremo>>). Niente da dire sul concetto, ma la maniera di esprimerlo può essere artisticamente più matura. Tutto questo, sia chiaro, non inficia l’esito di un lavoro che comunque è svolto in maniera seria e, soprattutto, sa stare ancora dalla parte del Rap onesto e fatto con il cuore.